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La Procura ha chiesto la condanna per tutti i reati contestati al maresciallo dei Carabinieri Michele Ferrante

Lo ”scheriffo“ sotto processo per le accuse di perquisizione e ispezione personali arbitrarie, lesioni personali aggravate, minacce e abuso d’ufficio a danno di un ambientalista, incensurato e vittima di estorsione

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Il tribunale di Paola

PAOLA (Cs) – Il pubblico ministero Luca Natalucci ha chiesto la condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione per tutte le ipotesi reato contestate al maresciallo dei Carabinieri Michele Ferrante, sotto processo per le accuse di “perquisizione e ispezione personali arbitrarie (articolo 609 c.p.), lesioni personali aggravate (articoli 582, 585), minacce (articolo 612) e abuso d’ufficio (articolo 323), a danno di un politico ambientalista di Fuscaldo, Davide Di Domenico, incensurato e vittima di estorsione (https://www.calabriainchieste.it/2023/05/19/processo-al-maresciallo-sceriffo-arresto-abusivo-lesioni-e-frequentazioni-chiacchierate/).

L’ennesima udienza a carico del maresciallo “sceriffo” fino a poco tempo fa in servizio presso la compagnia Carabinieri di Paola, poi trasferito a Cosenza per tali vicende, si è svolta oggi di fronte al collegio penale del Tribunale di Paola presieduto da Salvatore Carpino.

La sentenza si terrà nei primi giorni di dicembre, slittata perché la difesa ha presentato una memoria.

Il processo è comunque a un passo dalla prescrizione.

La parte offesa ha presentato una istanza tramite il suo avvocato, Antonio Sanvito, con cui chiede 15mila euro di danni da devolvere interamente all’associazione antiviolenza cosentina che porta il nome di Roberta Lanzino.

Michele Ferrante è difeso dagli avvocati Giuseppe Bruno e Armando Sabato.

E’ un processo molto delicato e importante, anche perché all’attenzione del Parlamento e del Ministero per via di tre distinte interrogazioni parlamentari, a suo tempo predisposte dal vice presidente del senato Roberto Calderoli, unitamente ad altri parlamentari leghisti, nonché dall’ex presidente della commissione antimafia Nicola Morra, assieme a parlamentari del M5S.

Sulle azioni consumate dal militare dell’Arma, poi trasferito dalla compagnia di Paola al comando di Cosenza, così si è espressa la Procura, in quel tempo diretta da Pierpaolo Bruni:

“abusando dei potere inerenti alle sue funzioni, ossia in violazione degli articoli 97 della Costituzione, degli articoli 36 e 57 del regolamento di disciplina militare e segnatamente, libero dal servizio ed in abiti civili, eseguiva una perquisizioni ed una ispezione personale a Di Domenico Davide, senza alcuna giustificazione e omettendo di redigere il verbale delle operazioni compiute al solo fine di impedire al Di Domenico di fotografare lo stesso e le persone con cui si intratteneva”, durante un pubblico comizio.

Al fine di “eseguire il reato”, “rincorrendolo per immobilizzarlo – prosegue l’accusa – e così facendolo cadere a terra, cagionava a Di Domenico trauma contusivo gomito destro con frattura del capitello radiale (95 giorni di prognosi)”.

Con l’aggravante di aver commesso il fatto con “abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti la sua qualità di pubblico ufficiale”.

Al maresciallo viene poi contestata la minaccia aggravata: “Te la farò pagare”, avrebbe detto a Di Domenico, “ti faccio vedere io, dove cazzo devi andare…”.

Ed, ancora, in “violazione del dovere di astensione e comunque in violazione dell’art. 97 della Costituzione, ossia in violazione dei doveri di imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione, con sviamento delle finalità specifiche dei propri poteri”, il Ferrante “predisponeva e redigeva personalmente l’informativa di reato relativa alla denuncia a carico del Di Domenico, omettendo di astenersi in presenza di un proprio interesse ed arrecando intenzionalmente un danno ingiusto al Di Domenico”.

Rispetto agli innumerevoli controlli operati da Ferrante a carico dell’incensurato Di Domenico, controllato in modo ossessivo spesso tramite i famigerati OP/85 (lui e anche numerose persone incensurate che ruotavano attorno alla sua persona, tra parenti, amici, poliziotti, medici, giornalisti e professionisti), in dibattimento Ferrante si è giustificato dicendo che era stato delegato dai superiori. Ma il suo diretto superiore, il maresciallo Nappi, lo ha sonoramente smentito in sede di udienza dibattimentale.