L'interno di un carcere

SCALEA (Cs) – Dall’inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia, condotta dai Carabinieri della Compagnia di Scalea, che in data 22 novembre che ha portato all’arresto di quattro persone, per un totale di quindici indagati, ha fatto emergere una vera e propria rete, ben organizzata, di spacciatori particolarmente attivi tra Cetraro e Scalea.

I reati contestati al sodalizio criminale sono: associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, spaccio, detenzione illegale di armi da sparo e lesioni personali aggravate dal metodo mafioso.

Undici dei quindici indagati sono a piede libero mentre Silvestri Michele, Mandarano Emanuele, Tamarisco Domenico e Scorza Franco, sono finiti in carcere per il rischio concreto di recidiva.

Le risultanze investigative più recenti in capo ai quattro arrestati “attestano il radicato inserimento degli indagati in ambienti criminali di elevatissimo spessoreoltre che una personalità avulsa dalle comuni regole del vivere civile e totalmente indifferente rispetto alle leggi dello Stato e ai precedenti provvedimenti dell’autorità giudiziaria, rimasti del tutto privi di qualsivoglia efficacia rieducativa e/o deterrente”.

Dalle dichiarazioni rese agli inquirenti da alcuni assuntori risulta che la sostanza stupefacente, cocaina e marijuana proveniente dai canali di approvvigionamento napoletano e cetrarese, veniva acquistata anche al costo di cinque o sei euro e cinquanta centesimi al grammo. 

Alcuni degli assuntori lamentavano che «Di solito la marijuana da loro spacciata non era di buona qualità. Mi ero accorto, infatti, che tale sostanza veniva mischiata con qualcos’altro, penso metadone, tanto che l’effetto generato dalla sua assunzione risultava alquanto diverso dal solito». 

L’approvvigionamento era molto semplice per gli assuntori: «Quando avevo bisogno di cocaina mi bastava chiamare uno di loro a telefono e concordare un incontro e, con la scusa di comprare una pizza, andassi poi a ritirare la marijuana». Dichiarazione confermata anche dalle intercettazioni tra gli indagati: «Le stesse cose di ieri», «una pizza come quella di ieri».

Il tipico modus operandi del gruppo era quello di concordare gli appuntamenti con gli interessati senza che questi spiegassero mai le ragioni della richiesta di droga.  Nei vari dialoghi intercettati si fanno raccomandazioni sulla quantità e qualità della sostanza stupefacente, “ti raccomando comportati bene”.

Insomma, una florida attività di spaccio dalla quale gli indagati ricavavano lauti guadagni, servendosi anche della forza intimidatoria e delle armi a loro in uso, (pistola e fucili da caccia), contro chi non pagava i debiti contratti con l’acquisto di droga. Come accaduto ad un cattivo pagatore, aggredito da più persone armate di mazze, tirapugni e pistole tanto da costringerlo a ricorrere alle cure di una clinica.

Un notevole il giro d’affari chiaramente evincibile “dagli ingenti quantitativi di stupefacente smerciato, di differente tipologia,  dalla stabilità dei rapporti con gli acquirenti all’ingrosso e con i fornitori del sodalizio”.

I proventi dell’attività di spaccio, che finivano in una comune bacinella, servivano al finanziamento dell’associazione stessa e al sostentamento degli affiliati detenuti. La stessa associazione disponeva di basi logistiche comuni per lo stoccaggio della droga nonché di utenze telefoniche fittiziamente intestate a soggetti di nazionalità estera al fine di eludere le investigazioni, apparati telefonici criptati e autoveicoli muniti di nascondigli idonei a occultare la droga.

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