THAILANDIA-CAMBOGIA – Un’escalation rapida, violenta e preoccupante: lungo il confine tra Thailandia e Cambogia, si combattono da giorni i più sanguinosi scontri militari dell’ultimo decennio.
Con oltre 100mila evacuati, decine di feriti e un numero crescente di vittime, la tensione ha raggiunto livelli tali da far temere un conflitto armato vero e proprio. E mentre la diplomazia si muove a fatica, cresce l’allarme della comunità internazionale.
Secondo i dati ufficiali diffusi oggi dal Ministero dell’Interno thailandese, sono salite a 138.013 le persone evacuate dalle province orientali del Paese, al confine con la Cambogia, mentre almeno 428 cittadini risultano ricoverati negli ospedali per ferite riportate durante gli attacchi. Le vittime accertate sarebbero almeno 14, in un bilancio che, purtroppo, potrebbe aggravarsi nelle prossime ore.
A lanciare un allarme esplicito è stato lo stesso primo ministro ad interim della Thailandia, Phumtham Wechayachai, che ha dichiarato alla stampa: «Se la situazione dovesse degenerare, potrebbe sfociare in una guerra». Attualmente, i combattimenti continuano per il secondo giorno consecutivo, coinvolgendo zone densamente popolate e costringendo migliaia di persone a lasciare in fretta le proprie abitazioni.
La Cambogia ha denunciato a sua volta vittime civili: secondo Meth Meas Pheakdey, portavoce della provincia di Oddar Meanchey, un uomo di 70 anni è rimasto ucciso e altri cinque civili feriti durante un attacco attribuito alle forze thailandesi.
In questo clima teso e incerto, la voce più forte sul fronte diplomatico è arrivata dalla Malesia. Il primo ministro Anwar Ibrahim, che nel 2025 assumerà la presidenza dell’ASEAN, ha invocato un cessate il fuoco immediato e si è offerto come mediatore tra Bangkok e Phnom Penh. In un post pubblicato su Facebook, Anwar ha sottolineato che “la Malesia è pronta ad aiutare e facilitare questo processo nello spirito dell’unità e della responsabilità congiunta dell’Asean”. Il suo appello ha già ricevuto un primo segnale positivo da parte della Thailandia.
Il portavoce del ministero degli Esteri thailandese, Nikorndej Balankura, ha infatti confermato che Bangkok è disponibile a un confronto sia bilaterale che tramite mediazione terza: «Siamo pronti, anche con l’aiuto della Malesia, se la Cambogia accetta di aprire un dialogo», ha dichiarato, lamentando però l’assenza finora di una risposta concreta da parte cambogiana.
Nel frattempo, l’ONU ha espresso seria preoccupazione per il deteriorarsi della situazione. Il segretario generale António Guterres ha invitato entrambe le parti “alla moderazione e al dialogo”, mentre il Consiglio di Sicurezza dovrebbe riunirsi già nelle prossime ore per discutere la crisi.
Il fragile equilibrio geopolitico del Sud-Est asiatico rischia di incrinarsi pericolosamente. A distanza di pochi giorni, un’area storicamente sensibile si è trasformata in un potenziale focolaio di guerra. Mentre le diplomazie si affannano per aprire spiragli di trattativa, l’unica certezza rimane l’urgenza di un’azione coordinata e tempestiva per fermare le ostilità. La storia insegna che nei conflitti di confine, l’inerzia può costare caro. E oggi, più che mai, serve coraggio per costruire ponti prima che crollino i muri della pace.














































