La casa circondariale di Livorno

CATANZARO – Sono spifferate assunte in via confidenziale da un detenuto di origini calabresi ristretto nel padiglione “Alta Sicurezza” del carcere di Livorno. La ‘ndrangheta vuole uccidere un avvocato del foro di Catanzaro, considerato una “carne venduta”, ossia un confidente degli specialisti della Distrettuale antimafia.

Tutto è cristallizzato negli atti: una informativa del Ros dei Carabinieri.

Volevano, dunque, ammazzare l’avvocato penalista del foro di Catanzaro perché sospettato d’aver aiuto gli organi investigativi ad intercettare le conversazioni di un altro avvocato penalista considerato complice dell’organizzazione criminale “Grande Aracri”.

L’ignoto detenuto di origine calabrese confidava a un funzionario di polizia penitenziaria notizie apprese in sezione dal co-detenuto Giovanni Abramo, presunto ‘ndranghetista crotonese affiliato alla “locale di Cutro”, retta dal suocero Nicolino Grande Aracri.

Da tali acquisizioni emergeva, in particolare, che il gruppo criminale, a seguito dell’arresto del giudice Marco Petrini, aveva avviato una indagine tra i sodali finalizzata a scoprire chi avesse aiutato gli inquirenti ad intercettare le comunicazioni di un penalista vicino alla cosca, individuando tali responsabilità nell’avvocato del foro di Catanzaro, verso il quale avevano in atto un “piano di eliminazione fisica”.

Guido Scarpino

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