Molto critica il presidente vicario della Corte d’appello di Catanzaro, Gabriella Reillo, nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Distretto di Catanzaro. «Purtroppo quanto manca alla politica sulla giustizia è una cultura di “sistema” che parta da dati concreti, rilevati nel territorio, e che si faccia carico di effettuare proiezioni di fattibilità, rispetto agli organici e alle dotazioni nonché alla conseguibilità degli obiettivi enunciati».

Invece «assistiamo a un affastellarsi di riforme che si susseguono senza che prima vengano verificati gli effetti della riforma precedente, nel perseguimento di meri effetti propagandistici». E ancora: «Le riforme procedurali vengono rappresentate come quelle più incisive e determinanti per abbreviare i tempi di definizione dei procedimenti e assicurare un più equo contraddittorio. Ma se andiamo a vedere in concreto il rito non è risolutivo, come è resto evidente da quanto accaduto in questi anni e delle fortissime differenze di performance a livello territoriale. Non mi dilungherò sul contenuto della riforma Cartabia, che pure contiene norme apprezzabili, ma devo rilevare che anche questa riforma è permeata dall’illusione di ridurre i tempi processuali, civili e penali, attraverso una riduzione dei termini».

Processi ritardati dall’eccessivo carico giudiziario di Procure e Tribunali

Per il presidente vicario «sembra non si renda conto che i tempi processuali non sono ritardati da termini eccessivamente lunghi bensì dall’eccessivo carico giudiziario che si abbatte sulle Procure e sui Tribunali, dalle endemiche e rilevanti scoperture degli organici, dal collo di bottiglia che si verifica nelle Corti d’appello quanto a sopravvenienze e risorse per la loro evasione». E’ inoltre «stata persa l’occasione di ristrutturare il rito alla luce della nuova prospettiva della giustizia digitale».

Nella relazione Reillo poi osserva: «Ugualmente nel settore penale la riduzione dei tempi per le indagini preliminari si scontra da un lato con l’elevato numero di fattispecie penali che unitamente al principio della obbligatorietà dell’azione penale scaricano sulle scrivanie dei pm centinaia di procedimenti al giorno, dall’altro con la complessità e gravita di vari reati che spesso, a prescindere dalla loro natura, necessitano di accertamenti istruttori specialistici e approfonditi».

E, ancora, «con la previsione della improcedibilità in Appello, istituto anch’esso fondato sulla riduzione dei termini, il legislatore ha riversato sulle spalle della magistratura la propria pavidità, non avendo avuto il coraggio di prevedere una seria depenalizzazione, atteso il dilagante populismo giustizialista».

Con la conseguenza che «l’improcedibilità si risolverà in una amnistia e per tutti i reati, anche quelli più gravi, qualora dovesse attribuirsi alla norma natura sostanziale, alla stregua degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità e costituzionale».

La Procura di Vibo Valentia presenta «una notevolissima produttività, seconda solo a quella di Catanzaro, nonostante l’elevata scopertura di organico in rapporto alla forte presenza ‘ndranghetistica sul territorio e alla circostanza che la provincia di Vibo risulta essere quella con il più alto tasso di crimini violenti di tutto il territorio nazionale.

Ecco i numeri contenuti nella relazione

«Procura di Catanzaro 17.471 procedimenti sopravvenuti, 17.934 definiti, 4.955 pendenti; Procura di Castrovillari 4.792 sopravvenuti, 4.114 definiti, 6.8569 pendenti; Procura di Cosenza 4.972 sopravvenuti, 4.941 definiti, 2.351 pendenti; Procura di Crotone 4.347 procedimenti con un tasso di smaltimento pari allo 0,8; Procura di Lamezia 5.955 sopravvenuti, 7.621 definiti, 3.116 pendenti; Procura di Paola 2.721 sopravvenuti, 2.133 definiti, 3.538 pendenti; Procura di Vibo Valentia 11.023 sopravvenuti, 17.178 definiti, 5.394 definiti. Va poi denunciato un allarmante aumento dei procedimenti riguardanti la violenza di genere».

Il presidente della Camera penaleValerio Murgano, ha evidenziato come  nella «prassi applicativa del nostro Distretto, in nome di un contrasto doveroso e legittimo alle diverse forme di criminalità, stiamo assistendo a una mutagenesi del diritto penale, trasformato da argine alla pretesa punitiva dello Stato a strumento di “lotta sociale”, con conseguente arretramento della storia della civiltà giuridica nel nostro territorio».

Dunque, «se il contrasto alla criminalità è obiettivo condiviso, non più differibile è una chiara e netta presa di posizione da parte di tutti gli attori della giurisdizione che riguardi il “come” e con quali “effetti” concreti sulla vita dei cittadini ciò stia avvenendo».

Murgano ha proseguito evidenziando che: «Lo squilibrio interno alla giurisdizione continua a essere esteriorizzato dal rapporto quantitativo – non più tollerabile – tra il numero (elevato) di requirenti e il numero (esiguo) di giudicanti nelle Sezioni giudiziarie in cui si decide la libertà personale ed economica dei cittadini.  Il sistema illiberale della così detto “pesca a strascico”, ci costringe ad assistere oramai disarmati – in danno dei cittadini – all’abuso nell’applicazione e nel mantenimento delle misure cautelari, con ribaltamento ideologico e di sistema della presunzione d’innocenza; un abuso costante, reso ancora più insopportabile dal circuito mediatico-giudiziario che si attiva nella fase, spesso spettacolare (con buona pace dei moniti europei), di esecuzione delle misure coercitive, producendo danni irreversibili sul piano umano, familiare, economico e sociale per i cittadini che le subiscono, oltre che costi insopportabili per lo Stato».

La dimensione del fenomeno in Calabria, a giudizio di Murgano, «è attestata dal primato costante del numero degli errori giudiziari, rispetto ai quali i Distretti di Reggio Calabria e Catanzaro si posizionano, costantemente, in cima alle classifiche: Non basta certo differire la fissazione delle procedure risarcitorie al solo fine di produrre statistiche distorte; siamo perfettamente consapevoli dei numerosi errori giudiziari che si registrano nel nostro Distretto, dopo che l’umiliante privazione della libertà personale si è consumata nel tempo infinito dei maxi-processi”.

Infine: «Abbiamo più volte rappresentato come l’abuso della custodia cautelare, delle misure di prevenzione e delle interdittive antimafia, in assenza di politiche di investimento socio-economiche, soprattutto nella nostra amata terra, finiscano per aumentare le disuguaglianze sociali e ingrossare le fila della criminalità organizzata”.