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Il capomafia Francesco Muto lascia il carcere di Sassari e torna nella sua Cetraro

Lascia la casa circondariale di Sassari, dove era associato dal settembre del 2022, giorno in cui, associato ai domiciliari, era stato trasferito in cella per la sentenza definitiva "Frontiera"

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L'istituto di pena di Sassari (nel riquadro il boss Franco Muto)

CETRARO – Il boss di ‘ndrangheta Francesco Muto è stato scarcerato stasera dalla casa circondariale di Sassari, dove era associato dal settembre del 2022, giorno in cui, associato ai domiciliari, era stato trasferito in cella per la sentenza definitiva Frontiera.

Il capomafia, 83 anni, lascia l’istituto di pena, dove era associato in regime di 41 bis, grazie a una puntigliosa istanza presentata agli organi competenti dal suo avvocato, il penalista Michele Rizzo del foro di Paola.

Sarà trasferito presso la sua abitazione, a Cetraro. Il capo indiscusso dell’omonimo clan di ‘ndrangheta, attivo da circa quarant’anni nel comprensorio tirrenico cosentino, e oltre, è stato recentemente condannato a 20 anni di reclusione, come ratificato dalla Corte di Cassazione nella sentenza dello scorso 15 settembre 2022.

La suprema Corte ha confermato quasi tutte le condanne del processo, inflitte in secondo grado, al capobastone e ai suoi gregari, per l’inchiesta Frontiera del 2016, ad opera dell’Antimafia di Catanzaro che fa capo al procuratore Nicola Gratteri, ritenendo inammissibili i ricorsi in secondo grado.

Il tribunale di Paola, in primo grado, aveva assolto il boss dall’imputazione per associazione mafiosa, ritenendolo colpevole per la gestione dell’attività legata al mercato ittico. La Cassazione nella sentenza recente ha riconosciuto l’esistenza e la piena operatività di un sodalizio criminale con a capo Francesco Muto, alias “re del pesce“, e di suo figlio Luigi, anch’egli rinchiuso in regime speciale presso il carcere dell’Aquila dove sta scontando la pena a 15 anni per lo stesso processo.

Una carriera criminale di tutto rispetto quella di Francesco Muto iniziata negli anni Settanta, dopo aver abbandonato il suo lavoro prima da imbianchino, fruttivendolo e poi calzolaio, per dedicarsi a quella molto più redditizia del settore ittico nel Comune di Cetraro fino alla provincia di Salerno, del traffico di droga, usura, estorsioni, e persino nel settore delle grandi opere pubbliche.

Per i collaboratori di giustizia Franco Muto è uno dei dieci boss più potenti della ‘ndrangheta. L’unico a sedere al tavolo sia con la ‘ndrangheta reggina che con la camorra napoletana, da Raffaele Cutolo a Carmine Alfieri. Alla fine degli anni ’70 la cosca Muto si allea con quella di Pino-Sena, nella guerra contro le famiglie Perna-Pranno-Vitelli finita dopo molti anni con un totale di ben 27 morti. Nel 1980 Franco Muto viene accusato di essere il mandante dell’omicidio del segretario capo della Procura di Paola, ex sindaco e assessore ed esponente del Partito comunista Giannino Losardo. Ma dopo una condanna in primo grado nel processo di Bari è prosciolto da ogni accusa in appello. Sentenza confermata in terzo grado di giudizio anche dalla cassazione e passata in giudicato. Un’ascesa criminale che ha lasciato una lunga scia di morti, tra i quali l’imprenditore Lucio Ferrami, Catello De Iudicibus, Pompeo Brusco e lupara bianca con la scomparsa di Franco De Nino ragioniere del clan, e lo scomodo testimone Luigi Storino. L’esistenza della cosca Muto è certificata per la prima volta con la storica sentenza Azimut del 2006, ma nonostante le diverse operazioni che nel corso degli anni hanno portato a diverse condanne, il clan Muto non ha perso la sua egemonia nel territorio. Ma ora che il boss è tornato in carcere, in assenza dell’erede naturale, il figlio Luigi Muto anche lui in cella, resta aperta la successione al potere criminale a cui molti “cani sciolti” di Cetraro bramano da diverso tempo.

fiorellasquillaro@calabriainchieste.it