L'arresto del capo clan Mancuso

VIBO VALENTIA La Corte di Cassazione, ha confermato la sentenza di secondo grado a un anno e tre mesi di reclusione nei confronti del boss di Limbadi, Pantaleone Mancuso, dichiarando inammissibile il ricorso del difensore dell’imputato. L’accusa è di aver oltraggiato il pubblico ministero Marisa Manzini, nel corso di una udienza celebrata il 10 ottobre 2016, presso il Tribunale di Vibo Valentia, e dove il capo clan era imputato insieme ad altri.

Il magistrato, in particolare, aveva contestato alcune dichiarazioni spontanee rese da Mancuso che non avevano attinenza con il processo in corso. Il boss, però, era intervenuto più volte affermando  “Fammi parrara a mia, sto rendendo dichiarazioni spontanee”, e ancora “fai silenzio, fai silenzi, fai silenzio ca parrasti assai, fai silenzio ca parrasti assai”. Il magistrato aveva continuato nella sua opposizione e il boss si era ulteriormente alterato: “hai capito che parrasti assai, fammi parrari a mia, ca ancora… ti devo parlare di mia moglie ancora, fai silenzio”.

Già il giudice del Tribunale di Salerno nel motivare la condanna ad un anno e tre mesi nei confronti di Mancuso, aveva sottolineato come “la ripetuta intimidazione alla Manzini di stare zitta costituiva la pretesa di impedirle di svolgere il proprio ruolo, escludendole pregiudizialmente la dignità di parte processuale facultata ad interloquire col Tribunale e riducendola ad un inutile orpello obbligato a tacere”. Inoltre Mancuso accusando il magistrato di utilizzare surrettiziamente un “collaboratore di giustizia bugiardo, ne pose pubblicamente in dubbio le doti di correttezza e professionalità, addirittura insinuandone la volontà di nuocere consapevolmente gli imputati tramite un calunniatore».

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