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«In quel Pronto soccorso il mio caro papà è arrivato vivo con le sue gambe ed è uscito morto»

«Abbiamo impattato contro un muro di silenzio e indifferenza. La nostra famiglia è stata catapultata in un limbo di dolore, di incertezza e di frustrazione»

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Il Pronto soccorso di Vibo
VIBO VALENTIA – «Rispetto alle ultime dichiarazioni rese dal Commissario straordinario dell’azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia, Gen. Battistini, sento il dovere di precisare che tramite gli Avvocati che si stanno occupando del caso è stata predisposta una replica veicolata direttamente alla Procura della Repubblica di Vibo Valentia, basata su dati e informazioni reperite dagli account delle utenze telefoniche (che, di per sé, costituiscono dati oggettivi)».
E’ la risposta della famiglia di Giuseppe Giuliano, 78 anni, deceduto all’ospedale di Vibo Valentia (https://www.calabriainchieste.it/2023/09/22/morte-sospetta-in-ospedale-a-vibo-valentia-indaga-la-procura-lettera-aperta-a-occhiuto/), in circostanze poco chiare, il 15 settembre scorso.
La famiglia Giuliano, in particolare è tornata sull’argomento in conseguenza della presa di posizione del commissario dell’Asp, il generale Battistini, apparsa su Il Fatto Quotidiano.
Eccola: il signor Giuliano “è arrivato in pronto soccorso con l’auto propria”. “Non ci risultano – spiega ai microfoni del fattoquotidiano.it – chiamate del 118 per essere trasportato in ospedale. Siamo ancora una volta confidenti che le indagini svolte dall’autorità giudiziaria faranno piena luce sulla vicenda perché gli operatori del pronto soccorso di Vibo Valentia e tutti quelli che si sono adoperati per risolvere il caso, che era arrivato già in una situazione di gravità in ospedale, hanno operato nel rispetto delle buone pratiche cliniche”.
In altre parole, dalle dichiarazioni del commissario straordinario dell’Asp è chiaro che Giuseppe Giuliano avrebbe avuto patologie pregresse e sarebbe arrivato in ospedale già in gravi condizioni: “Questo è – conclude il generale Battistini – Noi siamo rimasti molto sorpresi dalla reazione della famiglia. L’azienda ha disposto un audit interno che si è già concluso e le cui risultanze sono nelle mani della Direzione aziendale e sono a disposizione dell’autorità giudiziaria”.
Il figlio di Giuseppe Giuliano, Fabrizio, chiarisce: «Vorrei sottolineare ancora una volta la profonda tristezza e frustrazione, sentimenti che albergano nel mio cuore e nella mia mente al momento di raccontare una storia che non dovrebbe mai essere accaduta.
È una storia di perdita, di mancanza di rispetto e di abbandono, una storia che coinvolge la vita di mio padre e tutta la mia famiglia.
Tengo a precisare che, ad oggi, nessun esponente di quell’Azienda Sanitaria di Vibo Valentia (che per quanto dichiarato dal medesimo Generale Battistini si è dichiarata “molto sorpresa dalla reazione della famiglia”!) ha sentito l’esigenza di dare spiegazioni o illustrare cos’è successo quella sera all’interno del Pronto Soccorso di Vibo Valentia dove il mio caro papà è arrivato vivo con le sue gambe ed è uscito morto.
Non crediamo sia sorprendente reagire chiedendo spiegazioni, interrogandosi – come moglie e come figli di una persona morta da sola, sotto una coperta, all’interno di una saletta di pronto soccorso – sul perché ciò sia successo e non crediamo sia corretto rispondere a mezzo stampa, mai direttamente, limitandosi a dire che i parenti del defunto non avrebbero nemmeno chiamato il 118!
I parenti di Pino Giuliano non solo avevano chiamato il 118, non solo si erano sentiti rispondere freddamente che c’erano ore di attesa, ma hanno anche sentito il dovere di avvisarla – la centrale del 118 – che il paziente era già giunto autonomamente in ospedale e che non c’era necessità di mantenere il nominativo in lista d’attesa.

La sera in cui mio padre è stato portato al Pronto Soccorso di Vibo Valentia, è arrivato vivo, con la speranza di ricevere le cure e le attenzioni che avrebbero potuto salvarlo.

Speranza che si è infranta impattando in un muro di silenzio e indifferenza.
La nostra famiglia è stata catapultata in un limbo di dolore, di incertezza e di frustrazione.
La mancanza di comunicazione, empatia, compassione e di umanità ci ha gettato nell’abisso dell’ignoto, nel quale non possiamo far altro che insistere nel cercare disperatamente e con ogni mezzo che lo Stato accorda ai suoi cittadini civili il senso di quanto è accaduto.
Ogni essere umano merita rispetto, dignità e cure adeguate quando sta male, anche se le sue condizioni risultino gravi!
Mio padre aveva diritto a tutto ciò, e invece gli è stato negato così come è stata negata ogni spiegazione alla sua famiglia.
Oggi, mentre condivido queste parole, porto avanti la sua voce, la voce di una vita spezzata, affinché nessun’altra famiglia debba vivere il dolore che abbiamo vissuto.
Chiediamo giustizia, chiediamo risposte, chiediamo che nessun altro debba mai essere lasciato nell’oscurità della disperazione.
La memoria di mio padre merita questo, e noi, come famiglia, continueremo a lottare per assicurarci che nessun’altra vita venga persa a causa di un sistema che sembra essersi dimenticato della sua umanità», conclude.
Nella memoria presentata dagli avvocati, documentata e riscontrata, la versione dei fatti di parte smentisce le parole del commissario.
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